Biodanza durante e dopo Covid19 di Armando Montanari

“Ce virus qui rend fou” è il titolo provocatorio dell’ultimo lavoro di un intello-chic francese di fama internazionale, ora tradotto anche in italiano “Il virus che rende folli”, Bernard -Henri Levy. Come se ce ne fosse stato bisogno, e non fossero bastate le derive populiste anche nelle democrazie più consolidate, le fake news, il sospetto generalizzato sulla scienza, e il dilagare del catastrofismo. E per noi italiani, la presenza al governo di un movimento che disprezza le competenze per valorizzare soltanto le buone intenzioni e il non essere dei furfanti.

Normalmente cerco a fatica di capire qualcosa di ciò che mi circonda, senza alzare la voce, ma ora sono così confuso che non posso non confrontarmi con gli altri. Ed è per questa ragione, per confrontarmi con le voci che si faranno sentire stimolate dal mio vaneggiare, che cerco di organizzare quel poco di pensiero di cui sono ancora capace, a proposito della Biodanza, e non solo. E anche dal mio desiderio di non fare troppi danni nella mia posizione di direttore di scuola di formazione, pur condivisa con amici meno dubbiosi di me.
 
Nel mio tentativo, credo anche di godere di una posizione privilegiata. Pur non essendo parte della squadra della prima ora, ho seguito Rolando sin dai primi tempi della sua presenza in Italia e, per età e condizione mi sento abbastanza libero da condizionamenti personali troppo stringenti.
Peraltro credo che tutti noi,quando cerchiamo di testimoniare il pensiero originale di Rolando, ci avventuriamo in un’impresa impossibile poiché il ns maestro scriveva poco, ma nel corso del tempo ha fatto evolvere il suo insegnamento in modo assai dinamico.E quindi tutti noi possiamo testimoniare in perfetta buona fede delle affermazioni, non sempre del tutto coerenti.
Infine credo di dover pagare almeno in parte, il debito di riconoscenza verso Rolando per avermi chiamato nelle sue ultime volontà in qualche modo a rappresentarlo, senza che io abbia potuto, a causa delle circostanze successive, mantenere fede alla sua fiducia.
 
Dopo questa lunga ed insopportabile premessa, vengo alla sostanza della questione.
Alcune delle proposte di pratica di Biodanza in questo periodo mi hanno sinceramente sconcertato. Proporre e promuovere sessioni di Biodanza in luoghi pubblici, con modalità improprie, non mi sembra una risposta adeguata alla mancanza di incontri affettivi e di scambi con l’altro, che tutti abbiamo spiacevolmente sperimentato in questo periodo.
 
Credo piuttosto che noi disponiamo di alternative coerenti, che in momenti di distanziamento fisico necessario, possiamo attivare.
Le proposte in natura ci offrono possibilità di connessione e di incontro con la bellezza che, se non salverà il mondo, potrà certamente almeno confortarci.
Altri momenti di trascendenza sono a portata di mano per tutti noi, se solo sappiamo scoprirli.
I moderni mezzi di comunicazione non ci impediscono completamente contatti sociali che possiamo rendere affettivi ed emozionanti.
La nostra creatività può farci trovare innumerevoli modalità per vivere la Biodanza al di fuori delle quattro mura di una palestra, per l’incontro settimanale.
 
Anzi, così facendo, portiamo a completamento il processo iniziato, che è quello di trasformare la nostra vita, rendendoci ogni momento più innamorati della vita stessa, e non accontentandoci di qualche minuto di felicità, inframmezzato da giorni insignificanti.
Sono anche molto perplesso da certi tentativi di ricuperare modalità che ci sono estranee, come quelle della psicologia o della psicoanalisi, nella ns pratica.
In proposito ricordo l’avversione di Rolando a simili proposte, che spesso finivano in accese polemiche.
In particolare, mi sembra trattarsi dell’ennesima conferma della saggezza del modo di dire anglosassone che, per il martello, tutto il mondo è chiodo.
Più esplicitamente, non dobbiamofarci condizionare dal punto di vista e dai metodi che la nostra particolare pratica lavorativa ci propone.
 
La grande novità e genialità della proposta di Biodanza sta proprio nel rifiuto di accettare una sola voce, ma nel rivendicare, di fronte alla complessità del vivente, un approccio multidisciplinare e corale.  Ogni voce diversa porta un contributo essenziale alla comprensione complessiva.
Se invece adottiamo modalità e tecniche estranee, non solo non aggiungiamo nulla, ma rischiamo di compromettere la qualità della nostra proposta e creiamo soltanto confusione.
 
Ugualmente improprio mi sembra l’assecondare la tendenza attualmente presente nella nostra cultura della medicalizzazione di tutti gli aspetti della vita.Stiamo trasformando le nostre emozioni e i nostri vissuti in manifestazioni di patologie, che richiedono interventi terapeutici.
Altrettanto improprio mi sembra trasformare la pratica di Biodanza in terapia, con tutti i rischi di esporci alle azioni di difesa del loro ambito da parte delle professioni cui tali interventi sono legalmente riservati.
 
L’approccio all’esperienza umana della Biodanza ha una sua specificità che mal si presta ad essere etichettata come terapia od anche come intervento educativo, pur assumendo caratteristiche dell’una e dell’altro.
 
Farci imprigionare da questo o quella classificazione, non ci aiuta in alcun modo alla comprensione, ma mi sembra costituire soltanto un tentativo non riuscito di calmare la nostra ansia di fronte a ciò che sentiamo di non riuscire completamente a contenere. Credo invece sia legittimo chiederci, come tutti siamo chiamati a fare di questi tempi, sino a che punto possiamo cambiare la Biodanza, così come la nostra vita, senza tradire né l’una, né l’altra, per adattarci alle circostanze particolari che stiamo vivendo e che Covid-19 ci impone.
 
D’altronde, sotto molti aspetti, la pandemia non ha fatto che accelerare e rendere più dirompenti numerosi cambiamenti e linee di crisi preesistenti, e che in ogni caso sarebbe stato opportuno considerare, per prendercene carico.
Credo che queste riflessioni siano pienamente legittime.
Come ci poniamo noi personalmente e noi biodanzanti, di fronte ai grandi cambiamenti di cui siamo testimoni e che siamo chiamati a vivere?
Mi sembra che le opportunità di approfondimento non ci manchino.
 
E mi piacerebbe poter aprire uno spazio per questo.